In psicologia si intende per autosabotaggio la propensione al fallimento, un atteggiamento autodistruttivo e controproducente che può comportare la fine della vita personale, lavorativa, affettiva, sociale e scolastica. Questo disturbo porta a non far capire a coloro che ne soffrono, di essere loro stessi la causa di ogni proprio male o sventura, e che la propria insoddisfazione non ha origini esterne, ma interne, ovvero dentro di sé.
L’atteggiamento dell’autosabotaggio, in inglese self-handicapping – letteralmente “auto – handicapparsi” – induce ad assumere un atteggiamento mentale, sia esso consapevole o meno, che porta a farsi del male da soli, a rovinarsi la vita, anche senza l’aiuto di terze persone o di avvenimenti esterni.
Gli studiosi distinguono due forme di questo disturbo autolesivo:
- Il “raccontarsi l’autosabotaggio” (claimed self-handicapping): il soggetto si crea un alibi o una scusa per giustificare il suo fallimento;
- La messa in atto di comportamenti autosabotanti (behavioral self-handicapping): si ha quando il soggetto si “autoassolve” (si giustifica) con il partner, amici, genitori ecc.
L’autosabotaggio quindi è una strategia adottata per tutelare la propria autostima da un eventuale fallimento. In questi casi infatti il soggetto tende a crearsi un presunto ostacolo, un impedimento, fino a quando non incorre proprio nel fallimento dei sui propositi, attribuendo la colpa a quell’impedimento e non a se stesso.
Esempi tipici di questa patologia sono i classici rinvii di impegni anche importanti, lo scarso impegno nelle attività quotidiane, finanche l’assunzione di alcol o sostanze stupefacenti.
Si ha sempre, dopo l’avvenuto fallimento, la scusa per giustificarsi, per attribuire la colpa non alle proprie indolenti caratteristiche, ma verso l’ostacolo esterno, preferendo così ingannare se stessi e gli altri piuttosto che ammettere uno scarso impegno o scarse abilità e intelligenza.
È scontato che in questi individui l’autosabotaggio pregiudica irreparabilmente l’esito di una prestazione e il soggetto si spiana la strada verso conseguenze negative, sia nel medio che nel lungo periodo.
È stato dimostrato anche come questo disturbo peggiori nel soggetto affetto le capacità di attenzione e concentrazione, minando addirittura la capacità di apprendere nei primi anni di vita e di crescere nei successivi.
I ragazzi che soffrono di questo disturbo infatti tendono sempre a giustificarsi con i genitori, addossando la colpa del loro scarso rendimento scolastico ai professori e non alla loro poca voglia di impegnarsi, o dando la colpa all’amico per averlo indotto a comportamenti sbagliati.
La quasi totalità degli autosabotatori si convince anche di essere una vittima degli eventi, di un destino avverso o della cattiveria altrui, ma non intraprende mai un esame di coscienza. Coloro che manifestano questo disturbo non si chiedono se si sono impegnati abbastanza in qualcosa o se hanno assolto alle proprie responsabilità, se si sono comportati correttamente o meno. La colpa tanto è di qualcun altro o di qualcos’altro, comunque non loro.
Non ci si rende conto che spesso il nemico è dentro di noi, e si nasconde in quella tendenza a prendere sempre la decisione sbagliata, o a non prenderla affatto.
I soggetti che adottano tali meccanismi di difesa sono estremamente competitivi, anche a scapito degli altri, insicuri ed eternamente insoddisfatti, più preoccupati a soddisfare i propri desideri che quelli degli altri e che hanno bisogno di conferme esterne e di paragoni con gli altri pur di aver riconosciuto il proprio valore.
Un esempio di questo atteggiamento potrebbe anche essere la propensione ad intraprendere sempre relazioni sbagliate, che portano alla convinzione che non si vale nulla e che la propria vita sia un fallimento. Rimanere ad esempio con un partner anche quando si ha la consapevolezza che quella storia è insoddisfacente, se non addirittura controproducente o autolesionista, è il modo migliore per sabotare se stessi. Sentendosi ripetere sempre di essere una nullità o ricevendo continuamente insulti e mortificazioni, col tempo ci si convince davvero di non valer più nulla e di non meritare il dovuto rispetto.
Come affrontare il problema dell’autosabotaggio
È possibile guarire da questo disturbo intraprendendo un percorso di psicoterapia cognitiva attraverso cui sperimentare il pensiero opposto per poter cambiare diametralmente atteggiamento. Questo cammino inizia con un preliminare esame di coscienza, riflettendo su quante volte non si sono raggiunti gli obiettivi o ci si è messi in situazioni difficili, se non pericolose. È indispensabile anche superare il proprio senso di inadeguatezza e di vergogna, individuando la causa che ha indotto nell’errore col fine di evitare in seguito di commettere gli stessi sbagli.
Il primo passo è porsi un piccolo obiettivo realizzabile nel medio periodo, e con una ferrea e costante disciplina si raggiungeranno tutti gli obiettivi preposti.
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